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27 Maggio 2025

Coprogrammazione: l'esperienza dell'Sds Evv nell'intervista al direttore Franco Doni

La coprogrammazione, introdotta dall'articolo 55 del Codice del Terzo Settore del 2017, è una pratica ancora poco usata, ma alcuni esempi nel nostro territorio ci sono. La Società della Salute Empolese Valdarno Valdelsa ha infatti attivato negli ultimi anni tre coprogrammazioni aperte al mondo del terzo settore, alle quali hanno partecipato anche il Consorzio CoeSO Empoli e alcune delle cooperative socie.

Per saperne di più abbiamo rivolto alcune domande a Franco Doni, direttore Società della Salute Empolese Valdarno Valdelsa.

Le tre esperienze di coprogrammazione (su marginalità, non autosufficienza e famiglie e minori) sono state tra le prime nel territorio. Ci può raccontare da quali esigenze sono nate e come si è svolto il percorso?

Tutto parte dai piani che approviamo ogni anno, il Pis (Piano Integrato di Salute), che riguardava il triennio 2022-2024, e il Poa (Programma Operativo Annuale), che declina annualmente gli obiettivi del PIS, nei quali raccogliamo tutti gli indirizzi programmatori in ambito sanitario territoriale, socio sanitario e socio assistenziale. Lavorando agli obiettivi annuali ci siamo accorti che potevamo migliorare se avessimo avuto un quadro più completo, coinvolgendo chi lavora sui servizi, quindi anche il terzo settore. Siamo convinti che per programmare bisogna prima di tutto saper ascoltare e così abbiamo fatto, iniziando a mettere in pratica la norma del codice del terzo settore che lo prevede.

La prima esperienza sulla marginalità è stata pensata in piena pandemia da Covid19 e si è rilevata molto soddisfacente perché siamo riusciti a tradurre in realtà tutto quello che avevamo progettato. Anche la coprogrammazione che coinvolgeva la non autosufficienza sta dando i primi frutti, soprattutto nel campo della domotizzazione degli ambienti rivolti agli anziani. La coprogrammazione su famiglie e minori, invece, si sta concretizzando attraverso il progetto Fuori Classe. Tutte e tre le esperienze, quindi, sono passate dalle parole ai fatti.

Quali sono secondo lei i punti di forza di un percorso di questo tipo?

Il punto di forza più evidente è l'ascolto reciproco. Questo tipo di percorso porta necessariamente i vari soggetti a discutere di una questione, proporre idee e soluzioni. A noi spetta il compito di fare sintesi tra tutto quello che emerge e mettere a disposizione e risultati.

Quali i punti su cui il terzo settore e la pubblica amministrazione possono migliorare?

Si tratta di un processo molto complesso che richiede uno sforzo straordinario, che non è sempre possibile fare. Il Terzo settore, da parte sua, potrebbe iniziare a proporre al pubblico i temi su cui lavorare, sfruttando la norma che lo prevede. C'è poi da lavorare sulla forma mentis: coprogettare significa anche rinunciare a qualcosa, fare un passo indietro, cosa difficile per tutti, in particolare per il Terzo Settore. Un altro dei significati di questo approccio è poi 'corresponsabilizzarsi'rispetto al risultato.

Anche il pubblico deve lavorare sulla propria mentalità, passando da forme di selezione dei propri partner “direttive”, con al centro il ruolo della PA, a forme dove diventa preponderante il ruolo di “regista”.
Il dialogo è spesso faticoso: per incidere su questo è necessario prima di tutto puntare sulla formazione diffusa e sull'acquisizione di competenze specifiche, anche rifacendosi a buone pratiche.
Vedremo in futuro quanto questa attitudine sarà fatta propria dal pubblico, sicuramente noi ci abbiamo provato. È stato faticoso ma i benefici si sono visti e si continuano a vedere.

Foto di Brands&People su Unsplash

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