16 Ottobre 2025
Bilanciare il legame tra la terra e la famiglia lasciata a Gaza, con gli affetti e il futuro in costruzione a Empoli. La storia di Mohamed Tuaima si dipana tra luoghi diversi e tra due progetti professionali differenti, ma strettamente collegati.
Mohamed, 41 anni, è uno dei beneficiari del progetto SAI Empolese Valdelsa. Originario della Nord della Striscia di Gaza è psicoterapeuta e presidente di una storica associazione che si occupa di persone con disabilità. Da dicembre 2024 vive con la moglie e i loro cinque figli a Empoli e cerca di portare avanti vecchi e nuovi progetti.
Ci puoi riassumere brevemente quale era la tua occupazione prima di essere costretto a lasciare Gaza?
Mi occupavo di bambini e giovani con disabilità, nello specifico con sindrome di down o nello spettro autistico. Dal 2022 sono presidente di un'associazione attiva da mezzo secolo. Ho cercato di continuare il nostro lavoro anche durante questi due anni di guerra, ma non è stato facile. La nostra sede è stata rasa al suolo nel 2023 e fino a maggio 2024 siamo stati costretti a fermarci. Nello stesso periodo mi sono spostato con la mia famiglia a Rafah, nel Sud della Striscia, e nelle tende dell'accampamento abbiamo iniziato a distribuire quello che avevamo: oggetti per l'igiene, un po' di cibo. Ho potuto farlo solo per un mese perché poi era troppo pericoloso. Sono riuscito ad arrivare in Egitto con tre dei miei figli, dove siamo rimasti per sei mesi. Mia figlia maggiore, diciottenne, era stata colpita da una scheggia e si stava curando in un ospedale egiziano, dove anche mio padre era in cura per il cancro.
Sono stato costretto a spostarmi perché la mia famiglia aveva subito delle perdite e il mio stato d'animo non mi consentiva di aiutare altri. Nel frattempo mia moglie e altri due dei nostri figli erano arrivati in Italia con un volo umanitario per essere curati perché gravemente feriti da un bombardamento. Sono stati tra i primi ad arrivare nel Paese.
Come sei riuscito a fuggire?
Sono riuscito ad arrivare in Italia nel settembre 2024 e da qui ho continuato a cercare altri locali per la mia associazione, ma a febbraio 2025 l'esercito israeliano ha bruciato la sede che avevamo individuato, prima ancora che cominciassimo.
Da quel momento ho cominciato a raccontare la mia attività qui a Empoli e in Toscana e abbiamo organizzato vari incontri. Questo mi ha dato la forza di riprovare, anche se a distanza e nonostante la guerra feroce in corso. Ho quindi attivato un progetto di sostegno dei bambini disabili con adozioni a distanza, che è stato apprezzato da molte persone.
Ho iniziato anche degli workshop a distanza per le famiglie, per dare consigli su come trattare i bambini, in particolare con sindrome di down o spettro autistico, in tempo di guerra.
Come è stato per te l'arrivo in Italia? L'accoglienza è stata come ti aspettavi?
Quando sono arrivato ho dovuto aspettare alcuni mesi per ottenere il ricongiungimento con mia moglie e le mie figlie, che erano già inserite nel progetto SAI di Empoli. Per fortuna un ragazzo mi ha ospitato nella sua casa. Non lo conoscevo, ma aveva saputo che stavo arrivando tramite un media locale. È stato come un angelo caduto dal cielo, non lo ringrazierò mai abbastanza. Oltre a lui, poi, si è creata una bella rete solidale con varie persone che mi hanno portato coperte, vestiti e altre cose che ci servivano.
Dopo tre mesi è stato possibile entrare nel progetto SAI della mia famiglia. Capisco che si è trattato di un'attesa dovuta a questioni burocratiche ma è stato comunque molto difficile, visto che venivamo già da un grave trauma.
Quali sono le difficoltà più grandi che te e la tua famiglia avete vissuto o state vivendo in questa nuova fase della vostra vita?
La nostra famiglia condivide la casa con una beneficiaria di nazionalità nigeriana. La convivenza non è banale, soprattutto perché speravamo di poter essere da soli e ricostruire pian piano la nostra vita. Ognuno di noi sta vivendo le conseguenze del genocidio che abbiamo subito e convivere non è il massimo. Sarebbe lo stesso anche con un'amica o una conoscente.
A parte questo, però, gli operatori e le operatrici del SAI sono come una seconda famiglia. Ho anche già instaurato varie amicizie con persone del posto. Sento di avere una rete che sostiene me e la mia famiglia ed è qualcosa di davvero prezioso.
Empoli sta diventando la mia seconda casa, ma sento una grande responsabilità verso la famiglia che ho lasciato a Gaza. Mio fratello, giornalista, è stato ucciso e il punto di riferimento della sua famiglia adesso sono io.
Gli altri miei fratelli e le due sorelle sono ancora là e sento il dovere di aiutarli. Alla fine di settembre l'esercito israeliano ha bombardato la nostra casa. Per fortuna solo una mia sorella è stata lievemente ferita, ma ora si trovano a vivere in una tenda. Ho visto il bombardamento in diretta. Per ore non ho avuto loro notizie e per la tensione ho avuto un crollo emotivo.
Qual è il tuo sogno per il futuro?
Per lungo tempo il mio sogno è stato quello di resistere e rimanere a Gaza. Ora sento che
non è più possibile perché i luoghi e la situazione non consentirebbero di portare avanti né i miei sogni, né quelli dei miei figli. Vorrei quindi poter continuare i miei progetti da qui, dando sostegno anche alla mia terra.
Pochi giorni fa ho chiesto ai collaboratori dell'associazione di andare a vedere se la nuova sede che avevamo individuato era stata risparmiata e per fortuna è ancora intatta. Dovremmo quindi ripartire a breve con le attività. Le persone con disabilità e le loro famiglie ne hanno un grandissimo bisogno.
Negli ultimi mesi ho lavorato anche ad un progetto per il recupero psicologico post guerra e sono in attesa di conferma da alcuni finanziatori. Farò del mio meglio per poter aiutare le persone che sono ancora a Gaza a distanza e i gazawi che si trovano in Italia.
A Empoli sto collaborando con associazioni che si occupano di bambini e giovani con bisogni speciali. Sto seguendo un ragazzo italiano con autismo e il percorso attivato sta dando grande soddisfazione a me e alla famiglia. La lingua non è un problema perché in questi caso contano più i gesti e le emozioni che le parole. Spero che nel mio prossimo futuro possano esserci tante altre occasioni come questa.